L’Sos dei sardi in Venezuela

Dal quotidiano “La Nuova Sardegna” di oggi 01 febbraio 2019, riportiamo l’interessante articolo di Claudio Zoccheddu sulla situazione dei sardi residenti in Venezuela, in seguito all’Sos lanciato dal CREI Sardegna.

L’appello degli emigrati sardi: “Non si trovano medicine e cibo”

Un paese in ginocchio dove il conto più salato viene pagato dai cittadini, tra cui tantissimi immigrati costretti a convivere con la fame e con tutte le difficoltà che stanno trasformando il Venezuela in una terra dove le certezze durano un attimo e le incertezze non hanno la data di scadenza.
In mezzo a d una situazione che definire complicata non è altro che un eufemismo ci sono anche 350 sardi, tra cui emigrati arrivati in Sud America subito dopo la seconda guerra mondiale e quelli che invece hanno cercato la fortuna in tempi più recenti.

Isabel Carbajal è una delle centinaia di emigrate che hanno le radici in Sardegna, nonostante le generalità possano sembrare prettamente autoctone. Isabel, infatti, è italiana e nella sua vita la Sardegna ha avuto un ruolo fondamentale: “Mia madre è nata a Palermo ma poi si è trasferita in Sardegna, a Samassi, prima di partire in Venezuela insieme alla sua famiglia – spiega Isabel che adesso vive in Sardegna dopo essere riuscita ad abbandonare il Venezuela qualche anno fa. I suoi parenti, tra cui altri sardo-venezuelani, non hanno avuto la sua fortuna: “Mio cugino è ancora in Venezuela. Ha la doppia cittadinanza perché il padre era di Sestu e grazie a questo è riuscito a far arrivare il figlio in Sardegna, dove ha ottenuto il permesso di soggiorno come figlio di italiano”.
Le notizie che arrivano dal padre in Venezuela, però, sono tutt’altro che rassicuranti: “Stiamo parlando di un paese in cui è difficile trovare da mangiare, dove la moneta non vale nulla ma, anche avendo la disponibilità economica, non è comunque possibile trovare cibo perché non se ne trova, i supermercati sono vuoti. Lui mi dice che mangia carne una volta al mese, se va bene. Per questo è costretto ad arrangiarsi come fanno tante persone che pur dimettere qualcosa sotto i denti sono costrette a rovistare nella spazzatura. Poi c’è la situazione di tanti emigrati, anche sardi, che sono costretti a tirare avanti con una pensione. Io vi dico che è impossibile e quindi la situazione sarà complicatissima”.

Se trovare il cibo è un’impresa, raccattare medicinali è praticamente impossibile anche per gli anziani: “Proprio cosi, lo dimostra anche la mia storia. Noi siamo andati via dal Venezuela quando ci siamo accorti che la situazione stava precipitando– spiega Isabel- Chavez stava per lasciare il paese in mano a Maduro e noi abbiamo fatto le valigie per ritornare in Sardegna. I nostri parenti, invece, sono rimasti. Avevano la casa, il lavoro, i figli che andavano a scuola. Purtroppo non hanno avuto fortuna”.
Il racconto di Isabel spiega alla perfezione il male di cui soffre il Venezuela: “Quando si è ammalata mia sorella è stata visitata in ospedale e rimandata a casa dicendo che non aveva nulla. Quando siamo riusciti a farla arrivare in Sardegna i medici hanno scoperto un enorme carcinoma all’utero, purtroppo già in metastasi. I medici sardi ci hanno chiesto come fosse possibile che in Venezuela non se ne fosse accorto nessuno, dato che la diagnosi era evidente. Ma la realtà è che se ti ammali in Venezuela e non hai soldi, sei morto”.

Isabel, ha anche una cugina, che fa il medico: “Ma si è ammalata e ad agosto del 2018 gli abbiamo mandato 800 euro. Sono stati inutili perché non ci sono medicine e purtroppo è morta. In Venezuela si  muore di diabete ma anche di pressione alta. Racconto una storia: in un reparto di ostetrica in un ospedale di Caracas sono morti 15 neonati di influenza. Sembra assurdo, vero? Invece è cronaca”. Scappare dall’inferno del Venezuela è un desiderio difficile da realizzare. Chi ci riesce, però, spesso è solo a metà dell’opera. “ I miei parenti non hanno trovato lavoro in Sardegna– conclude Isabel- vivono in 7 con una pensione minima. Non è facile, speriamo che qualcuno ci possa aiutare”.

Fonte “Claudio Zoccheddu –La Nuova Sardegna-“

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