La vittoria di Alessandra Todde, il ruolo del PD, le prossime sfide da affrontare. Una intervista a tutto campo con Silvio Lai

Silvio Lai è deputato del Partito Democratico ed è stato presidente delle Acli della Sardegna. In questa intervista parla delle elezioni che hanno visto Alessandra Todde prevalere sugli altri candidati ma anche delle responsabilità che ora attendono la presidente e il PD.

Todde presidente e PD primo partito: un risultato che in tanti non si sarebbero aspettati. Come nasce?
L’orgoglio del Partito Democratico nell’eleggere una donna come Presidente della Regione Sarda non è un sentimento marginale né scontato ma è frutto di un processo culturale profondo a cui hanno dato corpo le tante compagne che si sono impegnate nel PD in questi anni battendosi affinché fossimo un partito diverso e attento alle questioni di genere. Senza questo lavoro quotidiano e l’impegno di tante donne nel PD e nell’associazionismo forse non sarebbe maturata né la candidatura di Alessandra Todde né la sua vittoria. Detto questo, il centrosinistra era destinato a vincere per il giudizio negativo su Solinas e la sua Giunta e non ci sarebbe stata storia se non per la scissione che il Partito Democratico ha subito con la scelta di Renato Soru di correre da solo con alcuni nostri dirigenti in una impresa che è stata fallimentare ma che ha rimesso in gioco un centrodestra che non sarebbe mai stato competitivo. Anzi il risultato ottenuto dal centrodestra è superiore anche perché ha raccolto candidature che non sarebbero state disponibili in caso di centrosinistra unito.
Nonostante la scissione, il centrosinistra è andato avanti in un progetto del tutto sperimentale, unico, che è stato percepito nelle ultime settimane di campagna elettorale come l’unico in grado di dare un’alternativa all’isola rispetto alla proposta in continuità con Solinas. Chi ha fatto campagna elettorale non ha potuto non percepire un cambio nella riflessione che maturava tra gli elettori del centrosinistra, visibile nelle discussioni quanto nelle assemblee.

La Sardegna in primissimo piano a livello nazionale: è solo un fuoco di paglia o gli equilibri politici stanno davvero cambiando?
C’è un dato nazionale e un dato peculiare. Quello nazionale è che la competitività di una coalizione ampia viene percepita dagli elettori che premiano chi si propone con possibilità di vincere con un progetto alternativo visibile quanto credibile. Il centrodestra era minoranza del Paese ma ha vinto le elezioni politiche perché la maggioranza delle forze politiche si è presentata divisa in 3 tronconi. E poi c’è la peculiarità regionale ovvero il fatto che gli elettori sono solo in parte ideologici. C’è un voto mobile e non vincolato e c’è un voto partigiano che è indisponibile a digerire qualunque proposta della sua parte politica e piuttosto sceglie di non votare. Peraltro, il voto disgiunto consente al cittadino di distinguere le sue scelte; da un lato vota per il suo consigliere regionale, talvolta anche per motivi clientelari o di appartenenza ad una piccola comunità, dall’altra dà un giudizio sul suo benessere e sulle sue speranze e sceglie il Presidente anche divergendo rispetto al voto del suo rappresentante politico. In Sardegna è maturato negli anni un giudizio negativo sull’esperienza del centrodestra sardista e un’attesa per una proposta del centrosinistra che, nonostante la scissione nel PD, ha avuto un giudizio di credibilità e di fiducia.

Il PD ha avuto un ottimo risultato: quanto frutto dell’attività locale e quanto della spinta venuta dalla gestione Schlein?
Non può essere negato l’entusiasmo portato dalla nuova segretaria del PD in alcuni mondi e tra i giovani, né il limite o la forza di un partito regionale commissariato sino a 10 mesi prima. Bisogna però essere onesti sino in fondo. Il risultato del PD è straordinario nel contesto dato, ma al di sotto delle sue potenzialità: dal 20% delle politiche al 14% delle regionali c’è in mezzo la dispersione del voto del PD tra liste minori e liste civiche con candidati dem che servivano a far vincere la coalizione anche a prezzo di un minor risultato. Detto questo siamo il partito più grande della coalizione con il doppio dei voti della seconda forza che esprimeva il Presidente, questo significa che il radicamento c’è e resiste anche nelle condizioni più difficili e che il gruppo dirigente territoriale ha radici profonde nella società locale. La riflessione deve poi guardare anche al dato di una ridotta presenza e consenso nelle comunità più piccole dove prevalgono candidati di forze politiche più piccole e più adeguate alla misura di consenso possibile. Spesso la fuga dei dirigenti dal PD è legata alla maggiore competitività di un partito più grande, fuga favorita da una legge elettorale che favorisce la disgregazione piuttosto che la concentrazione delle forze politiche, con una frammentazione della rappresentanza eccessiva. Essere eletti con 8000 voti non può essere uguale ad essere eletti con 800 preferenze, è una riflessione che il nuovo consiglio dovrà affrontare.

Sito della regione in tilt, ma non è la prima volta. Un sistema da ripensare?
Anche in questo caso bisogna essere onesti. Ad andare in tilt è stato il sistema di invio dei dati dai Comuni come il blocco di alcune sezioni elettorali. Di certo non si deve ripetere una immagine di tale inefficienza che ha originato meme di ogni genere, anche simpatici come quello nel quale una fidanzata diceva al suo fidanzato “Vorrei che il nostro amore durasse quanto lo spoglio elettorale in Sardegna”. Insomma in tutte le Regioni, lo spoglio inizia subito dopo il voto, in Sardegna si era deciso di andare al giorno dopo per avere freschezza e lucidità nei seggi ma non è stato sufficiente. Dall’altro lato i conteggi sono resi complessi dalla legge elettorale che prevede il voto disgiunto, infrequente nelle altre regioni italiane.

Quali sono le priorità per il PD nella prossima giunta? 
Sanità innanzitutto, poi efficientamento della spesa pubblica e riprogrammazione dei fondi del PNRR e del FSC. Poi ci sono le altre emergenze: le scelte sull’energia, sull’acqua, sulla transizione ecologica che ci vede particolarmente esposti. E poi il tema dell’istruzione e della formazione perché abbiamo dati tra i peggiori d’Italia su dispersione scolastica e laureati. E poi ancora, non autosufficienza e politiche sociali: stiamo guardando dall’altra parte ma ci avviamo ad avere dati demografici fuori controllo. Infine, la pianificazione di turismo e agricoltura per far crescere il PIL e la costruzione di una nuova continuità territoriale interna ed esterna.
Mi sembrano priorità sufficienti per una intera legislatura.

A giugno ci sono le europee e le comunali di Cagliari e Sassari; cosa dobbiamo aspettarci dal primo partito in Sardegna?
Il PD deve tenere unita la coalizione regionale e allargarla, nelle amministrazioni locali, ad altre forze politiche e civiche che non si riconoscano nel centrodestra nazionale, anche se sono all’opposizione in consiglio regionale. A me piacerebbe pensare ad un Psd’Az che si riprende la sua libertà senza frequentare più Pontida o altri luoghi estranei alla sua antica storia e che lavora ad un percorso di liberazione dell’isola dalle tante sottomissioni di cui soffre. 
In secondo luogo il PD deve continuare ad aprire le sue liste come ha fatto nelle regionali alle espressioni del mondo dell’economia, della scuola, della cultura e della sanità, fare scelte coraggiose di promozione di esperienze professionali e civiche sia nella proposta di primo cittadino che in quella di consigliere comunale.
In terzo luogo deve pensare che le città sono state violate da amministrazioni inadeguate alle sfide e chiuse in sé stesse; in queste città va riconquistata la fiducia degli elettori, non solo quelli di sinistra o di centrosinistra, ma di tutti i cittadini.

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