Quali politiche per contrastare la povertà? Una intervista con Antonello Caria

È molto difficile capire come hanno funzionato e come funzionano oggi, dopo le recenti scelte del governo, le misure in contrasto alla povertà.  Per capire meglio questi importanti temi, e avere maggiore contezza del quadro generale in Sardegna, abbiamo intervistato Antonello Caria, segretario al welfare delle Acli della Sardegna e responsabile Iares, che da anni si occupa di queste tematiche.

A novembre, in occasione del seminario ACLI, hai parlato di “Povertà, Re.I.S., REI e Reddito di Cittadinanza. Il welfare a ostacoli”, evidenziando dubbi e sottolineando tutte le criticità del sistema. Ci puoi fare un breve excursus della situazione pregressa?
Le misure di contrasto alla povertà nell’impostazione universalistica orientata dallo Stato esistono in Italia solo a partire dalla misura avviata nel 2017 e denominata Sostegno Inclusione Attiva (SIA). Si è trattato nei fatti del primo percorso gestito attraverso un ruolo diretto dell’INPS che ha posto il cittadino in condizione di povertà di usufruire di un’erogazione monetaria che non fosse collegata al venir meno di un reddito da lavoro. Prima le misure connesse erano tutte promosse dagli enti locali, comuni e regioni. Si è trattato di fatto di una conquista anche sollecitata da iniziative sovranazionali, che ha nei fatti e finalmente messo anche l’Italia in condizione di favorire secondo i principi di uguaglianza e universalità un diritto sociale essenziale sancito dalla Costituzione: nessuno deve essere privo dell’essenziale per vivere e per garantirsi in autonomia un adeguato reddito, nessuno deve essere privato della possibilità quando in difficoltà di ri-attivarsi. Ecco, a questo percorso sono state poi collegate le varie misure che si sono succedete stimolate da vari governi: il REI (Reddito di Inclusione), in Sardegna il Re.I.S. (Reddito di Inclusione Sociale- aggiudu torrau) fino al Reddito di Cittadinanza. Tutte le misure sono state basate sulla logica della personalizzazione degli interventi, con lo sviluppo di progetti e obiettivi di capacit-azione a cui veniva collegata un’erogazione monetaria. Nei fatti tutto il sistema del welfare sociale di presa in carico è partito a rilento, mentre sono state attribuite le erogazioni monetarie spiazzando nei fatti la natura delle misure. Il risultato è stato tanti soldi distribuiti ai poveri ma bassa efficacia della condizionalità.

Quante persone hanno usufruito di questi sostegni in Sardegna?
Con il Reddito di Cittadinanza sono arrivati a percepire la misura fino a 57 mila famiglie per circa 120 mila persone coinvolte, a queste ne vanno aggiunte alcune migliaia che hanno potuto avvalersi del Re.I.S. regionale, posto come misura complementare. Di fatto sono state raggiunte una quota rilevante delle famiglie in povertà assoluta ma, come dicevo solo una parte ha fatto i percorsi in modo coerente, tra servizi del welfare locale e Centri per l’Impiego.

Ci puoi rapidamente ricordare anche il lavoro fatto dallo IARES con 117 interviste fatte a percettori sardi?
Abbiamo sviluppato un’indagine complessa con Aspal con l’obiettivo di istituire un Osservatorio sul Reddito di Cittadinanza. Parte dell’indagine è stato un focus qualitativo con interviste strutturate basate su un’estrazione casuale di 300 percettori del RdC dagli elenchi del SIL Sardegna. Di questi ne abbiamo contatati 117 e raggiunti oltre 40 con cui abbiamo svolto le interviste in profondità in tutta la Sardegna. Ne è derivato il disegno dei profili prevalenti dei percettori della misura che, se sono donne si sono raccontate con storie di carichi di lavoro in famiglia importanti da cui deriva una rilevante difficoltà a proporsi nel mercato del lavoro e su cui il Reddito di Cittadinanza è intervenuto quasi come sollievo e, talvolta abbiamo pensato, come reddito del caregiver famigliare. Se sono uomini adulti hanno basse qualificazioni e quindi difficoltà serie ad essere reinseriti nel mercato del lavoro. Ne è derivato lo spaccato delle povertà della Sardegna dimostrando nei fatti che non basta un’erogazione monetaria per cambiare segno a percorsi di difficoltà ma servono prese in carico complesse.

Anche sulla base dei dati pregressi, come si può valutare l’effetto generale che ha avuto il RDC?
Nella sfortuna di aver coinciso con la fase pandemica è stato la manna dal cielo che ha attutito il colpo. Nella logica della presa in carico complessa, ad ora un’occasione persa, in quanto con tutte le risorse investite si poteva impostare meglio e con un altro tempismo il sistema dei servizi, avremmo avuto senza alcun dubbio una differente efficacia. Purtroppo la logica assistenziale fa pensare che bastino i soldi ed il lavoro per cambiare segno a storie di vita in difficoltà. Nei fatti non è così, ed in molte situazioni la disponibilità finanziaria può creare altre difficoltà se mancano altri supporti, mentre troppo spesso anche il reddito da lavoro è insufficiente e crea i cosiddetti lavoratori poveri. Serve un cambio di visione effettiva non solo enunciata.

Perché, a tuo avviso, il governo ha deciso di cambiare l’attuale situazione?
La propaganda ha fatto leva sulle storture che ci sono state, ed ora si intende cambiare segno, ma ancora i proclami sono lontani dalla realtà che va presa per quello che è: tante persone vanno messe in condizione di cambiare segno alla loro storia e non criminalizzate perché povere. Le storture vanno risolte e prima di tutto va cambiato in modo concreto il sistema del welfare. Inoltre non si può dire, “chi può, lavori”, se non si ha chiaro quali sono le opportunità effettive del mercato del lavoro. La domanda a cui dobbiamo rispondere è prima di tutto: cosa offre l’economia a questi potenziali lavoratori?

Cosa comporterà questo cambio?
Senza dubbio la perdita di una copertura finanziaria per molti, penso in particolare a molte donne che magari non hanno carico di cura diretto nella famiglia di residenza, ma supportano la famiglia allargata con il loro lavoro e che faranno fatica ad immaginarsi alla ricerca di lavoro. Perderanno l’erogazione monetaria perché magari single ma non tenteranno l’ingresso nel mondo del lavoro. Lo stesso varrà per tanti adulti con basse qualificazioni. Insomma laddove in parte la misura anche se parziale ha dato dignità anche a dei lavoratori poveri, ora queste persone saranno più deboli nel proporsi ad un mercato del lavoro che fatica a dare coperture regolari al lavoro. Inoltre non sarà cancellata la misura di contrasto in se, verrà rinominata e cambieranno i filtri all’ingresso. Fare propaganda sulla pelle dei poveri è il peggio che si possa immaginare, ma nei vari segni ad ora pare che la politica non riesca a fare altro.
Al contrario serve una seria politica di contrasto delle povertà e di promozione delle capacità di tutti.

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